Giovanni Branchini , l’Ingegnere vagabondo che reinventò l’ippica

di Gaetano Borrelli


Meno quattro: siamo al conto alla rovescia per il Gran Premio Lotteria di Agnano. Dici Lotteria e non puoi non dire Giovanni Branchini. Il più grande manager che abbia avuto l’ippica moderna italiana. Uomo di passioni e di cavalli.


“La vita è meravigliosa. L’importante è arrivare alle sei della sera con in tasca cinquanta dollari per una buona cena”. Un ottimista con uno sguardo proiettato sempre al domani, l’ingegnere Giovanni Branchini nato a Sant’Agata Bolognese, in possesso di passaporto americano, innamorato della Francia, ma che alla fine sentenziò: Napoli per viverci è il posto più bello al mondo.


A Napoli approdò per caso in età matura per dirigere l’ippodromo di Agnano. Vagabondo di professione, dopo la laurea in ingegneria meccanica conseguita con 110 e lode all’università di Bologna, cominciò a spostarsi da un capo all’altro del mondo: Uganda, Canada, Stati Uniti. Da autista di camion a direttore di una fabbrica a Detriot, poi responsabile di tutte le aziende del Nord America del gruppo Marposs. Brevettò un congegno per le misurazioni meccaniche. Dopo moltissimi anni, ancora incassava di tanto in tanto un po’ di dollari: negli Stati Uniti, nell’era di internet, c’era chi usava il suo brevetto.


Nel 1980 era a capo di un impero. E che fa l’ingegnere Giovanni Branchini? Pianta tutto e torna in Italia. Un amico americano, maggior azionista della Castleton Farm (allevamenti e ippodromi di trotto) entra nel pacchetto di maggioranza della Trenno e invita Branchini a trasferirsi a Milano come suo uomo di fiducia. “Una proposta che in altri tempi avrei rifiutato, ma che accettai perché in Italia avevo due figli da sistemare dai quali ero stato troppo tempo lontano”, spiegò.


Ma che c’entrava Branchini con i cavalli? Lo zio Nello era stato il driver più famoso prima della Guerra (vinse il Derby inaugurale del trotto nel 1926 con Malacoda di proprietà del cavaliere Alfonso Gargiulo di Afragola), il papà correva tra i gentlemen, campione italiano due volte. Lui, Giovannino, cominciò a gareggiare in sulky a sedici anni. In America conseguì la patente di professionista. Quando guadagnava molto si divertiva a fare pazzie per i cavalli, compreso gli spostamenti in elicottero per essere in pista nella stessa sera alla prima corsa di Detroit e all’ultima di Chicago. Branchini corse anche due volte il Lotteria, quando lo sbarco alla guida dell’ippodromo napoletano non era nemmeno ipotizzato. Con una brocca americana, College Star, andò in testa di gran lena e vi rimase un giro, poi si fermò di passo. I “tecnici” sentenziarono che la cavalla aveva motore, ma che Branchini non era in grado di guidarla. Arrivò così un’offerta di acquisto. Branchini intascò cash 46 milioni di lire. L’aveva comprata per ventimila dollari al cambio di 625 lire. College Star era un bidone e tale rimase.



Alza la frusta Giovanni Branchini sul traguardo del premio Inverno di San Siro con Durk Hanover

Branchini era un guidatore con i fiocchi. A San Siro nel 1984 vinse il premio Inverno in sulky al suo Durk Hanover (preferiva guidare solo cavalli di proprietà) battendo tra gli altri Brighenti, Fontanesi, Bechicchi e i Guzzinati. Durk Hanover vincente pagò 65 contro 1.


In gioventù era stato uno sportivo multiforme di primissimo livello. Boxeur da ragazzo (smise perché un suo amico morì sul ring in una riunione a Portici), rugbista con una presenza in nazionale (a Bologna l’Italia fu sconfitta dal Sudafrica 24-3. L’unica meta azzurra la segnò Giovanni Branchini). Poi divampò la passione per l’automobilismo. Giro di Sicilia, targa Florio, la Mille Miglia, il Giro di Toscana. Branchini partecipò con qualche successo a numerose classiche. E anche quando aveva passato i settant’anni continuava a pigiare forte sull’acceleratore. Un fenomeno Branchini-pilota che faceva tremare i suoi compagni di viaggio.



La Trenno gestiva gli ippodroni di San Siro e Montecatini e per un periodo limitato, tramite la società Villa Glori, anche quello di Agnano. Branchini faceva la spola tra Napoli e Milano. Nel 1987 quando morì il suo amico americano e prima che un rimescolamento societario ne ridimensionasse il ruolo, acquistò le azioni di Agnano, ippodromo alla deriva di cui la nuova Trenno voleva frettolosamente liberarsi. Branchini coinvolse nell’operazione l’amico Pio Bruni e alcuni imprenditori pratesi. “Comprare le azioni di un ippodromo con bilanci perennemente in rosso sembrava a tutti una grossa fregatura. E forse lo era”, raccontava.


L’ingegnere, con l’aiuto di Pasquale Sedia, riuscì a far capire ai dipendenti, agli appassionati, agli allenatori, alle istituzioni che Agnano con tutto quel verde era un patrimonio di tutti. Apriamo l’ippodromo alla città: fu il suo grido di battaglia. Sostituì alcune orrende strutture in muratura con eleganti gazebo di legno, inserì pianti e fiori negli angoli più nascosti, restituì agli antichi splendori il parco verde. Il sabato precedente un Lotteria comprò una recita straordinaria di un balleto al San Carlo. L’ippodromo di Agnano invitò al San Carlo millecinquecento persone. Il successo fu enorme. “E’ un modo - disse - per far parlare di Agnano nel salotto buono della città”.



Le femmine volanti Ina Scot e Helen Johansson

I Lotteria targati Branchini furono memorabili, l’ippodromo tirato a lucido sempre strapieno. In pista non mancavano mai i cavalli stranieri. L’ingenere era molto conosciuto in Francia, ma anche in Svezia. Il colpo più spettacolare fu forse la partecipazione al Lotteria 1995 di Ina Scot, guidata da Helen Johansson. La signora svedese dopo la clamorosa vittoria nell’Amerique a Parigi aveva già deciso di dribblare il Gran Premio napoletano. Il corteggiamento di Branchini cominciò due mesi prima all’ippodromo di Cagnes su Mer e proseguì in Scandinavia. L’ingegnere arrivava a sorpresa facendosi sempre annunciare da cento rose rosse. La Johansson e il marito (che era l’allenatore di Ina Scot) proprio in extremis, allettati anche da un lauto ingaggio, cedettero al pressing di Branchini. La signora Helen e Ina Scot entrarono nell’albo d’oro del Lotteria, nello stesso anno in cui avevano vinto l’Amerique, prima e unica donna ad aver trionfato a Napoli e Parigi.



Il campionato giornalisti: con Giovanni Branchini il vincitore Luigi San Gregorio e la pr Donatella Boccalari

Non solo Lotteria, Branchini pensava sempre in grande. Le corse gli piacevano per davvero e trovava sempre il modo di fare spettacolo. Nel Freccia d’Europa ’96, dopo due prove con gli stessi cavalli, la classifica a punti aveva sancito la parità tra Record Ok e Aces Noble. Erano le sette di sera, su Agnano il buio era calato da un pezzo, faceva freddo. Per tutti era giunto il momento di ritornare a casa. Non per Branchini che si catapultò in pista e mise in palio dieci milioni di tasca sua per il cavallo che avesse vinto l’improvvisata bella. Marcello Mazzarini, driver di Record Ok, disse subito di sì. Jim Frick, driver di Aces Noble, non accettò la sfida: il suo cavallo era troppo stanco.


A Branchini piaceva sorprendere. Quando Fistil, un campione di Pasqualino Esposito molto amato dai napoletani, chiuse la carriera con l’ultima corsa, ordinò di aprire i varchi. Giro d’onore non in pista ma sotto le tribune nel parterre, in mezzo al pubblico che faceva a gara per toccare Fistil. Una scena mai vista in nessuna parte del mondo.


Branchini con Valeria Marini al Lotteria

Branchini non si fermava mai. Trascinava i suoi 120 chili in motorino in lungo e largo per l’ippodromo, dalla tribune alle scuderie. Con l’esempio conquistò i suoi dipendenti. E ne tesseva le lodi. “Chi ha detto che a Napoli c’è poca voglia di lavorare?. Qui ci sono gli operai più bravi del mondo”. Patti chiari con tutti e, se sentiva puzza di bruciato, non esitava a fare ore di anticamera per essere ricevuto da Questore e Prefetto.

Branchini diventò molto popolare in città. Per strada durante lo shopping, nei ristoranti a cena riceveva sempre attestati di stima e simpatia. Era diventato un napoletano di adozione e non pensava di lasciare la città dal clima mite che leniva i suoi acciacchi. Gli stravolgimenti societari lo costrinsero nel ’99 a trasferirsi a Treviso. Poi vinto dalla nostalgia - fin quando le condizioni fisiche gli consentirono di stare in piedi - ritornò a Napoli “da pensionato”, circondato dall’affetto degli amici e dei suoi ex dipendenti con i quali appena poteva si riuniva per un bicchiere di lambrusco, rispolverando sempre il suo famoso brindisi: “A la santé, a la jeunesse, a l’amour”.


Giovanni Branchini , l’Ingegnere vagabondo che reinventò l’ippica

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